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Sant’Antonio Abate e i cavalieri del fuoco sacro

di Ferdinando Marfella ed Ester Tullio




Il 17 gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate [1]. In tanti borghi dall’antica tradizione rurale ancora si benedicono come un tempo gli animali domestici, da stalla e da cortile, dei quali è il protettore. Il suo posto nel mondo cristiano fu nel passato di eccezionale importanza: era protettore degli animali, ma era anche venerato contro le malattie della pelle e veniva invocato nella protezione dagli incendi. La protezione degli animali era di fondamentale importanza in un mondo dove essi erano garanzia di sopravvivenza, oltre che insostituibile fonte di energia nei lavori dei campi e principale mezzo di trasporto. La benedizione degli animali era una delle feste cardinali dell’anno descritta anche da Goethe nel Viaggio in Italia del 1787. Inoltre, aveva il potere di vincere la malattia in una realtà priva di medici e di medicine, il potere di domare il fuoco nel mondo contadino in cui le costruzioni contadine erano fatte principalmente di legno.

La benedizione degli animali si perpetua in tanti borghi e campagne a noi vicini [2] raccogliendo tradizioni che si sono aggiunte man mano nei secoli. Un esempio in Val di Comino è quella del borgo del castello di Alvito dove ogni anno si benedicono gli animali domestici. In passato si usava accendere fuochi dedicati al santo, si cuoceva su di essi la carne del maiale nero ammazzato il giorno precedente e si preparavano ricette contadine come le sagne e i crispini o la polenta. I santini venivano affissi sulle porte delle stalle e appesi sulle mangiatoie a protezione del nutrimento che dagli animali si ricavava. Ancora oggi, Sant’Antonio Abate viene raffigurato circondato dagli animali, in saio monastico con una croce a forma di tau color indaco, un campanello d’argento su una croce e l’immancabile maialino. Per comprendere il significato di tali caratteristici attributi, bisogna fare un salto indietro nel tempo, in un passato ancora anteriore a quello della tradizione contadina di uno o due secoli fa [3].



Sant’Antonio Abate era un anacoreta, universalmente considerato padre del monachesimo e primo abate, vissuto tra il III e il IV secolo nel deserto egiziano. La sua vita ci è stata tramandata da Sant’Atanasio [4].

Antonio nacque a Coma, in Egitto, da genitori cristiani copti, ricchi mercanti, i quali morirono lasciandolo in condizioni economiche molto agiate. Un giorno fu folgorato dalla lettura del passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù esortava a privarsi dei beni materiali (Matteo, XIX, 21). Lasciò quindi sua sorella in una comunità femminile, vendette tutte le proprietà donando il ricavato ai poveri, partì per vivere nel deserto della Tebaide come anacoreta, allontanandosi sempre più dalla società civile [5]. Conduceva una vita ascetica vivendo in una grotta, con sempre più persone che lo imitavano per il modello esemplare che egli rappresentava.

I diversi attributi che lo caratterizzano fanno riferimento a diversi periodi storici nei quali essi hanno genesi.

La lotta contro le tentazioni del demonio è una costante della sua vita nel deserto. Atanasio riporta che nel deserto Antonio era costantemente tormentato dalle tentazioni e dalle malizie del demonio ma tutto risultava invano. Antonio subì sonore bastonature ad opera di demoni tra cui un “puer horridus atque niger” [6] che voleva vanamente debellare la solidità della sua fede.

Il fuoco è un altro simbolo che connota Sant’Antonio. Ritroviamo una fiammella sul libro sacro che ha spesso in mano o ai suoi piedi: esso richiama la sua protezione sui malati di fuoco di Sant'Antonio (ignis sacer, o fuoco sacro), certamente non identificabile con l’odierna malattia legata all’erpes zoster. Bisogna invece far riferimento all’ergotismo [7]: un’intossicazione alimentare legata al consumo di pane derivato da farine contaminate dall’ergot, detto segale cornuta [8]. Esso è un fungo – nome scientifico Claviceps purpurea – dotato di potenti proprietà vasocostrittrici e neurologiche: le prime causano la cancrena degli arti e le seconde generano le allucinazioni e le visioni [9]. Le stesse sostanze derivate dall’ergot erano ben note ed utilizzate nell’antichità dai Greci in alcuni culti mistici quali i misteri eleusini [10].

Il maialino è l’attributo immancabile di Sant’Antonio Abate: esso è il vero legame con la protezione degli animali domestici che trae origini dal Medioevo. Troviamo il maiale ai suoi piedi, a volte sostituito da suini più antichi come ad esempio la cinta senese, il maiale nero o addirittura il cinghiale [11]. Già in una novella del Decameron, Giovanni Boccaccio narra che Sant’Antonio Abate proteggeva maiali e cavalli, beni di primo rilievo nell’economia nel Medioevo. La campanella è legata al maialino perché essa serviva a identificare nelle città medievali i maiali protetti dal santo, di proprietà dei monaci Antoniani.



Il legame di Sant’Antonio Abate con l’ignis sacer è dovuto ad una storia devozionale avvenuta nel XI secolo, allorquando un cavaliere francese, Jocelin de Chateau Neuf, di ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa riuscì ad ottenere dal basileus di Costantinopoli le reliquie di Sant’Antonio Abate [12]. Trasportate le reliquie attraverso Provenza [13], i fedeli ne invocarono la protezione contro un’epidemia di fuoco sacro. L’epidemia passò e venne acclamato dai fedeli come taumaturgo da invocare contro tale grave affezione che risultava spesso mortale. Un’associazione di laici cominciò ad occuparsi del pellegrinaggio verso le preziose reliquie. Il santuario di Sant’Antonio Abate di Vienne [14] custodiva le sue reliquie dal secolo XI. Ritenute dai pellegrini taumaturgiche e miracolose, le reliquie assicuravano elemosine e donazioni con le quali si finanziavano gli spitali dove venivano curati i malati di ergotismo [15]. Successivamente, nel 1297, Papa Bonifacio VIII emise la bolla che costituì l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, con finalità ospedaliere e monastico-militari, nel rispetto della regola di Sant’Agostino. Saint Antoine l’Abbaye era diventata la potente maison-mere dei cavalieri del tau o del fuoco sacro. Gli Antoniani fondavano ospedali che si diffusero a macchia d’olio in tutta Europa [16] sostenuti da elemosine, rendite, lasciti e l’allevamento dei maiali: questi ultimi potevano grufolare liberi, in quanto autorizzati e contraddistinti da un campanellino di riconoscimento, anche entro le mura delle città, diversamente dai maiali dei contadini [17]. Certo i maiali liberi nelle città generavano anche problemi di ordine pubblico, potevano sporcare le già luride strade medievali, rappresentavano un pericolo perché potevano aggredire i bambini, oppure potevano scavare nei cimiteri per rovistare tra i cadaveri. Non mancarono incidenti anche a persone di rilievo come avvenne ad esempio in passato a Parigi, già nel 1131, al principe ereditario Filippo, figlio del re di Francia Luigi VI detto il Grosso, che morì a seguito di una caduta dal cavallo, fatto imbizzarrire da un porco cittadino [18].

Questi eventi provocarono progressivamente nel tempo il divieto di lasciare in libertà i porci nelle zone urbane. Gli unici maiali non colpiti dall’interdetto furono quelli degli Antoniani. Essi erano protetti contro i malintenzionati sia dalla legge sia dalla paura inculcata dagli Antoniani di incorrere nelle ardenti ire del santo. Per tale motivo la tradizione portò a identificare nei secoli il padre del monachesimo come protettore degli animali [19].

Dai suini gli Antoniani di Vienne ottenevano nutrimento, per loro e per i malati, ed inoltre realizzavano degli unguenti emollienti per poter lenire le piaghe del male degli ardenti. Essi riscuotevano elemosine, o avevano incaricati che lo facessero per loro, facendosi riconoscere dal saio, dal bastone a forma di tau e dal suono di una campanella d’argento [20]. Ciò causava discordia con altri ordini religiosi come ad esempio i benedettini dell’abbazia di Montmajour presso Arles, rivali degli Antoniani di Vienne. Erano frequenti colpi di mano tra i due monasteri a causa del controllo delle sacre reliquie e del pellegrinaggio che portava ricchezza [21]. Tanto che ad un certo punto i corpi del santo divennero due, uno antoniano ed uno benedettino. La controversia aveva generato imitatori, tanto che nello stesso periodo si originò la tradizione che narrava della presenza di un ulteriore corpo del santo all'interno dell'abbazia di Lézat-sur-Léze nella regione occitana, in terra catara. Quindi i corpi di Antonio in Occidente diventano tre [22], e tali sono rimasti fino al XVIII secolo [23].



Nel Cinquecento, il cardinale Luigi d’Aragona aveva già rilevato l’anomalia e protestato - da quale pulpito conoscendo meglio il personaggio mondano e spregiudicato. Nel diario del suo viaggio in giro per l’Europa del 1517-1518 stilato dal suo segretario, il chierico molfettano Antonio de Beatis, si racconta che il cardinale chiese ed ottenne la conta “osso per osso” [24] delle reliquie tra i due monasteri di Saint Antoine l’Abbaye e quello rivale dei benedettini di Arles. Il cardinale restò interdetto nel constatare due interi corpi del santo più qualche osso che risultava di troppo. Luigi d’Aragona contestò anche i “veri” chiodi della croce che sarebbero bastati per cento croci e non per una sola, altre reliquie duplicate o triplicate, assieme a credenze e superstizioni. Nel “parco tematico” di Provenza non mancavano la presenza di reliquie pagane e di mostri da bestiario medievale, come il drago Tarascuro ucciso da Santa Marta a Tarascona. Così come si era espresso l’Equicola nell’Iter in Narbonensem Galliam, il cardinale d’Aragona lamentò venerazioni irrazionali e la presenza di un vero e proprio merchandising ante litteram che si era sviluppato nel borgo attorno alla chiesa di Sant’Antonio Abate: si vendevano statue a lui dedicate, campanelli, tau, porchetti d’argento di scarsa lega, ex voto a forma di braccio. Il tutto era alimentato da un costante e copioso flusso di pellegrini da tutta Europa che arrivava per chiedere la grazia a Sant’Antonio: erano gli anni in cui si diffondevano nuove malattie che provenivano dalle Americhe, come la sifilide. Non mancarono visite di persone importanti, con visite di re, principi, nobili e benefattori da tutta Europa. Aymar Falco, abate del santuario e principale cronista antoniano, riportò diverse visite di personaggi eccellenti: papa Clemente VII e due cardinali, futuri papi, come Giulio II e Leone X. Durante il 1514 si registrarono più di diecimila italiani in visita e, negli anni successivi, moltitudini di pellegrini dall’Ungheria e dai paesi limitrofi. Nel 1517 ci fu la visita di Isabella d’Este, con Mario Equicola al suo seguito [25]. Probabilmente tutti per ingraziarsi il re Francesco I e la devota regina madre Luisa.




La spregiudicatezza dei cavalieri del fuoco sacro era stata riportata secoli prima da Dante nella Divina Commedia: nel Canto XXIX del Paradiso, Beatrice condanna i frati di Sant’Antonio Abate che approfittavano della ingenuità degli uomini per ingrassare i propri maiali, cioè per arricchirsi. I loro questuanti erano famosi per l’insistenza e battevano il territorio al suono della campanella legata al bastone. Sono noti dei casi di finti questuanti che si appropriavano indebitamente delle elemosine o di veri questuanti che entravano in contrasto con altre precettorie. L’abate del monastero di Sant’Antonio di Vienne, immediatamente soggetto alla Sede Apostolica nominava direttamente procuratori ed emissari anche in Italia. Si ha documentazione di nomine del 1455 per territori a noi non lontani quali le diocesi di Tivoli e quella di Ferentino [26]. Visto il quadro, è facile immaginare qualche questuante che avrà battuto anche gli antichi borghi della Val di Comino col sicuro dissenso dei benedettini.


A partire dal XVII secolo il fenomeno dell'accorpamento degli ospedali gestiti dai vari ordini e il miglioramento delle condizioni igieniche in Europa (che portarono alla scomparsa delle grandi epidemie che avevano flagellato il vecchio continente nei secoli precedenti), fecero venir meno la stessa ragione d'esistere degli antoniani, sempre più divisi da dispute e conflittualità interne. Così nel 1774, due anni prima della soppressione dell'Ordine, venne decisa dal Capitolo generale degli Antoniani l'unione con l'Ordine di Malta, che si prefiggeva anch'esso, fra i suoi scopi, l'assistenza e la cura dei pellegrini. Il 17 dicembre 1776 papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum conditio sancì definitivamente l'abolizione dell'Ordine Antoniano i cui beni passarono in gran parte all'Ordine di Malta e, nel Regno di Napoli, all'Ordine Costantiniano.

Da allora il culto del Santo è stato ricondotto ad una chiave più bucolica e si è incanalato progressivamente verso la protezione degli animali, facendo dimenticare via via le origini di tale antico e duraturo legame di devozione popolare.


NOTE

[1] - Nell’Italia meridionale viene talvolta chiamato Antuono per non confonderlo col santo omonimo originario di Lisbona, Antonio di Padova.

[2] - Ad esempio Arpino (FR), Pescasseroli (AQ), Scanno (AQ), Pietrafitta frazione di Settefrati (FR). Tali tradizioni sono spesso recuperate e promosse da associazioni culturali locali.

[3] - Bisogna fare riferimento al Medioevo per comprendere il culto e al mondo antico per riferirsi all’agiografia.

[4] - Atanasio divenne vescovo di Alessandria d’Egitto e con Antonio ha combattuto l’arianesimo.

[5] - Atanasio, Vita di Antonio.

[6] - Ibidem.

[7] - Cfr. Carlo Gelmetti, “Il fuoco di Sant’Antonio”, 2007, Springer.

[8] - L’ergot cresce sia sulla segale che su alcuni altri cereali quali orzo e grano, specialmente in zone insane, umide o incolte, nonché su alcune graminacee spontanee come il loglio.

[9] - Le visioni sono dovute ad alcuni alcaloidi contenuti dell’ergot che trovarono nell’Ottocento utilizzo nella medicina e dai quali nel 1938 il chimico svizzero Albert Hofmann ricavò un composto dell’acido lisergico, oggi conosciuto come LSD, avente proprietà psichedeliche che furono scoperte nel 1943.

[10] - Cfr. Carlo Gelmetti, “Il fuoco di Sant'Antonio: Dai Misteri Eleusini all'LSD”, seconda edizione, 2010, Springer.

[11] - Laura Fenelli, “Dall’eremo alla stalla - Storia di sant’Antonio abate e del suo culto”, 2011, ed. Laterza.

[12] - Ibidem.

[13] - Le reliquie furono condotte verso la località del Delfinato di La Motte Saint Didier che prese il nome di Saint Antoine l’Abbaye per la presenza del santuario antoniano, nella diocesi di Vienne.

[14] - Città del Delfinato, capoluogo di Saint Antoine l’Abbaye. Sant’Antonio Abate era anche detto “di Vienne” o “di Bienna” con riferimento al capoluogo.

[15] - Con un’adeguata alimentazione, priva della segale infetta, e con un lenitivo ricavato dal grasso di maiale.

[16] - Cfr. Carlo Gelmetti, “Il fuoco di Sant’Antonio”, 2007, Springer: “L’Ordine arrivò a fondare 389 abbazie-ospedali in tutto il mondo cristiano di allora e divenne uno degli ordini religiosi ospedalieri più importante della storia”.

[17] - Laura Fenelli, “Dall’eremo alla stalla - Storia di sant’Antonio abate e del suo culto”, 2011, ed. Laterza.

[18] - Da M. Pastoureau, “Le roi tué par un cochon”, 2015, Points editions du Seuil.

[19] - Laura Fenelli, “Dall’eremo alla stalla - Storia di sant’Antonio abate e del suo culto”, 2011, ed. Laterza.

[20] - Ibidem.

[21] - I pellegrini erano una fonte di reddito per l’ordine: come avveniva ovunque nel mondo cristiano, ma in particolare nella Francia del periodo avignonese dei papi (1309 – 1377), avviato da Clemente V per mettersi sotto la protezione di Filippo il Bello. Il papa è ricordato anche per la soppressione dell’ordine dei Templari avvenuta col concilio che si tenne proprio a Vienne nel 1311 e le persecuzioni ai gran maestri avvenute fino al 1314, avallata per accondiscendere il re di Francia che aveva bisogno delle ricchezze dell’ordine per far fronte al forte deficit del suo regno. Lo stesso Bonifacio VIII che aveva avallato la fondazione dell’ordine Antoniano aveva dimostrato l’importanza dell’impatto economico del flusso dei pellegrini con il primo giubileo a Roma del 1300.

[22] - Alessandra Foscati, "I tre corpi del santo. Le leggende di traslazione delle spoglie di sant'Antonio Abate in Occidente", in Hagiographica, XX (2013), pp. 143-181.

[23] - Qualunque sia la verità storica, e quale che sia il vero corpo del santo copto (forse nessuno dei tre), è un dato di fatto che dal tardo Medioevo in poi i visitatori dei santuari francesi potevano imbattersi in tre diverse spoglie di Antonio, due delle quali avevano dato origine ad un culto taumaturgico molto simile.

[24] - Itinerario del viaggio del cardinale Luigi d’Aragona steso da Antonio de Beatis, in A. Chastel, Luigi d’Aragona. Un cardinale del Rinascimento in viaggio per l’Europa, Laterza, Roma-Bari 1987, p.251.

[25] - L’Archeoclub Val di Comino ha organizzato un convegno ad Alvito il 29 aprile 2017 nel quale si parlava anche dell’ordine di Sant’Antonio Abate nell’ambito del viaggio in Provenza di Isabella d’Este Gonzaga e di Mario Equicola avvenuto nel 1517.

[26] - Archivio storico comunale di Trevi, Fondo Notarile, Notaio Marino da Montesano (1465-79).



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